Tutto quello che sta accadendo a partire dalla morte di George Floyd riapre dentro di me una riflessione che é più una vera ossessione e si tratta della reale e tangibile responsabilità reciproca sulla definizione dell'identità individuale.
La psicoanalisi lacaniana offre un grande insegnamento circa la nostra identità, ed è quella di sottolineare come non possiamo parlare di noi stessi scindendoci dagli altri. Possiamo parlare di noi solo in riferimento a qualcuno o qualcosa d'altro. "Sono figlio/a di", "sono nato/a", etc.
La nostra identità è irrimediabilmente scolpita nel rapporto con l'Altro. Come si lega tutto ciò a Floyd e al movimento Black Lives Matters? 
L'insensatezza del razzismo risiede nella definizione di "identità".
La mia domanda è: quali sono i gradi di libertà nel decidere chi siamo? Presa coscienza del fatto che la nostra identità è fortemente etero-determinata, il frutto della combinazione di variabili indipendenti casuali quali: coordinate geografiche e storiche, contesto socio-economico, background familiare, in interazione con caratteristiche genetiche e temperamentali, qual è la nostra personalissima percentuale volontaria di autodefinizione? Siamo capaci di renderci conto che siamo chi siamo, anche nel privilegio, grazie a variabili casuali o esterne? Siamo capaci di renderci conto che la nostra identità puó diventare  la traccia del margine dell’identità dell’altro? Il suo confine e a volte la sua prigione? E che in realtà “il razzismo é un problema dei bianchi”, un insensato problema legato alla nostra fragilità di bianchi, ma che finchè non lo risolviamo rimane il pennarello indelebile con cui disegnamo i ritratti identitari altrui?
Tutta questa enorme e gigantesca costellazione predeterminata, che è la persona, interagisce con altre costellazioni e viene poi esposta a piccoli o grandi meteoriti: momenti storici che possono o meno cambiare la propria configurazione. Questo è uno di quelli. Un momento in cui siamo tutti chiamati a cambiare configurazione radicalmente per permettere ad altre di risplendere liberamente.
Il razzismo non è solo quello esplicito che arriva all'uccisione sistematica di un certo gruppo di individui definiti per qualche categoria appunto, identitaria, è un filo spinato sottile tessuto nelle trame della struttura del mondo e delle relazioni, molto più di quanto sia possibile analizzare ad una prima occhiata.
L'immagine qui sotto fa parte di un lavoro di un'intera vita di David Goldblatt, scattata nel 1993 in Sud Africa, che mostra una siepe piantata nel 1660 per separare coloni e colonizzati, mantenuta per separare durante l'apartheid, bianchi da neri. Goldblatt mostra senza puntare la fotocamera alle persone come il razzismo sia radicato nella "struttura delle cose" (The structure of things then"), anche dopo che all'apartheid era stato messo fine.
E' terribile e meraviglioso allo stesso tempo pensare che possiamo cambiare gli altri e il mondo se solo poniamo lo sguardo nei luoghi e nei modi in cui la sua struttura si definisce silenziosamente.
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