Un giorno correva nelle cuffie un podcast distratto, di quelli che metti quando non sopporti né troppo rumore né troppo silenzio, un flusso di parole che pare rumore bianco, ti fa compagnia senza disturbarti.
Di tutto quel parlare suoni senza significato l’unico concetto che captai fu emotivamente rivoluzionario: la “geografia sentimentale”.
Insomma parlavano di come tutta la geografia che studiamo fin da bambini -confinicapitalicapoluoghi- che ci dá un’idea del mondo e di come spostarci poi da un luogo all’altro sia solo UNA delle infinite geografie possibili. Basti pensare al fatto che le nostre proiezioni cartografiche sono eurocentriche e sono del tutto diverse da quelle orientali che ovviamente, hanno l’Asia al centro e noi ai lati del mondo, contro le pareti del foglio -uno smacco al nostro indiscutibile egocentrismo geografico.
Ecco e allora dicevano questo: che un’altra delle geografie possibili non riguarda la disposizione misurata in km di distanza e abitanti per chilometro quadro dei luoghi ma é costruita dagli spazi a cui sentiamo di appartenere e con cui risuoniamo, quelli che nella nostra mappa mentale sono vicinissimi tra loro confinano perche assieme tracciano le vie e le tappe della nostra identità e allora la casa in cui sei cresciuto é a quattro passi e mezzo dalla montagna più alta che hai scalato, o addirittura ci è costruita sopra, in cima, accanto a quel bosco che sa di autunno tutto l’anno ma in cui ci andavi solo d’estate.
Ecco ogni tanto penso a come sia la mia geografia sentimentale ed esce qualcosa di più o meno così.
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